Compensazione
Compensazione in Apnea – Parte 2
Compensazione in Apnea – Leggi la prima parte
“Squeeze” ed Emottisi: possibili cause e prevenzione.
Nel precedente post abbiamo fornito delle definizioni utili per capire quali sono le grandezze fisiche e i cambiamenti che queste subiscono durante un tuffo in apnea, e come queste variazioni incidano sulla capacità dell’apneista di compensare a certe profondità.
Attenzione: tutte le discipline subacquee e\o apneistiche durante le quali è previsto l’atto di trattenere il respiro devono essere svolte in presenza di un istruttore e\o di un compagno qualificato. Questo post ha scopo puramente informativo. Mai in Mare da soli.
Abbiamo visto che mediamente alla profondità di 30/33 metri il volume aereo polmonare raggiunge il valore pari al Volume Residuo e l’apneista non è più in grado di traslare meccanicamente aria dai polmoni verso la parte alta dell’albero respiratorio e quindi verso l’orecchio medio ed il timpano: viene raggiunto il limite reale della compensazione in apnea.
Oltre queste profondità ogni manovra forzata di compensazione (sforzo espiratorio con conseguente contrazione muscolare) può indurre delle pressioni negative all’interno dell’albero respiratorio che possono causare barotraumi e\o edema polmonari che in inglese sono anche definiti con il termine “Lung Squeeze” e\o “Tracheal Squeeze” , letteralmente “Strizzamento-Spremitura dei Polmoni e\o della Trachea”.
Tra gli apneisti lo “squeeze” è un argomento molto delicato, spesso sottovalutato, a volte evitato per pudore, e sempre più frequentemente fatto passare come un evento “normale” che prima o poi può capitare a tutti quanti provano a scendere più in profondità: non è esattamente cosi.
In realtà ci sono poche informazioni disponibili sia sui libri che su internet e la ricerca scientifica ha mosso i primi importanti passi per cercare di capire le possibili cause e le eventuali predisposizioni genetiche a questo tipo di problematiche (Apnea Academy Research su tutti). Ovviamente in questo post non ci addentreremo in questo tipo di trattazioni di carattere medico-scientifico che lasciamo a chi ha maggiori competenze e dati a supporto.
Scopo di questi post è cercare di rispondere alle domande di un numero sempre (purtroppo) crescente di apneisti che soprattutto all’inizio della stagione estiva incorrono in questo tipo di problema e si rivolgono poi al proprio istruttore per avere delle delucidazioni, dei consigli, e spesso delle rassicurazioni.
Partiamo con il descrivere i sintomi più comuni con cui si manifesta lo “squeeze”:
- Emottisi dopo il tuffo (escretato rosato o con evidenti tracce di sangue) che può manifestarsi anche per qualche ora dopo l’accaduto (dipendentemente dall’intensità e dalla localizzazione del danno)
- Tosse secca che permane anche per qualche giorno dopo l’immersione subacquea,
- Difficoltà respiratorie (soprattutto difficoltà ad effettuare dei respiri profondi),
- Dolore\Bruciore nella zona sternale,
- Stanchezza\spossatezza che può permanere anche nei giorni a seguire (dipendentemente dall’intensità e dalla localizzazione del danno)
Diverse sono le situazioni che possono portare a questo tipo di problema.
La prima e più importante è quella che abbiamo descritto ampiamente anche nel post precedente e cioè tuffi nei quali l’apneista raggiunge profondità per cui il volume polmonare è pari o inferiore al volume residuale. A queste profondità la pressione idrostatica riduce i volumi aerei presenti all’interno dell’albero respiratorio inducendo:
1) una pressione negativa nei polmoni e negli altri spazi aerei semideformabili (bronchi e trachea in particolare) che fa collassare le pareti polmonari e alveolari e sottopone a “strizzamento” anche gli spazi aerei semideformabili,
2) il boodshift/emocompensazione che per compensare la riduzione del volume aereo fa aumentare le dimensioni dei capillari e dei vasi sanguigni presenti all’interno dei polmoni e che circondano gli alveoli.
Si intuisce facilmente che in questa situazione di stress del sistema respiratorio, manovre di compensazione forzate e\o errate possono generare ulteriori depressioni all’interno del sistema e portare ad una sindrome da stress dei capillari polmonari con conseguente stravaso di liquido nei polmoni (edema polmonare) oppure con la rottura dei capillari nella parte alta dell’albero respiratorio in cui le strutture sono semideformabili (barotrauma tracheale e\o bronchiale).
Altre situazioni che possono aumentare la probabilità che questo incidente si verifichi si possono avere se l’apneista:
- Si immerge a profondità superiori al proprio limite reale della compensazione,
- Arriva ad avere le contrazioni diaframmatiche in profondità,
- Utilizza manovre di compensazione non idonee che generano ulteriore pressione negativa nell’albero respiratorio con conseguenti tensioni toraciche (ad esempio il richiamo dell’aria fatto con il diaframma o utilizzando la “bocca come una pompa” – “reverse packing”),
- Effettua dei movimenti bruschi sul fondo (iperestensione delle braccia, iperestensione del collo per guardare il fondo\piattello, girate sul fondo troppo veloci e brusche, sforzi per stanare un pesce o recuperare oggetti dal fondo) che generano ulteriori importanti pressioni negative all’interno dell’albero respiratorio e tensioni nella zona toracica,
- Non è in grado di gestire al meglio la compensazione del volume aereo presente nella maschera con possibili effetti dannosi a carico dei polmoni (effetto suzione).
Il tipico apneista che ha maggiore probabilità di incorrere in questo tipo di problemi è una persona che si allena prevalentemente in piscina o che ha appena frequentato un corso di apnea in piscina: dopo una stagione nella quale ha frequentato degli allenamenti di apnea ed ha raggiunto ottime distanze in apnea dinamica, cerca di trasferire queste sue prestazioni in Mare ed in profondità. Pensa di avere il “fiato” e la necessaria preparazione fisica di base per scendere a 30\40mt e pensa che comunque è “solo una questione di compensazione” e magari cerca di raggiungere queste quote utilizzando slitte per l’assetto variabile che sempre più spesso vengono utilizzate da istruttori di apnea come strumento didattico durante corsi, uscite in Mare e stage di apnea (io personalmente le trovo estremamente pericolose soprattutto se l’allievo è un neofita o se l’apneista è alle prime uscite della stagione).
Ma il suo corpo non è adattato alla profondità, la sua manovra di compensazione (spesso) non è cosi consapevole, il suo livello di rilassamento fisico e mentale è molto scarso poichè in Mare a quelle profondità non ci va spesso, e quindi il rischio di incidente aumenta in modo considerevole (come ampiamente descritto sopra).
Altre condizioni che possono portare a questo tipo di incidente sono:
- scarso adattamento dell’apneista alla pressione idrostatica e quindi alla profondità ed alle modificazioni fisiologiche da essa indotte;
- scarsa elasticità e mobilità del diaframma;
- poca flessibilità ed elasticità della gabbia toracica;
- poca flessibilità delle strutture semideformabili che formano la parte alta dell’albero respiratorio (bronchi e trachea in particolare);
- scarso rilassamento fisico in discesa;
- utilizzo di sistemi di discesa (slitte per l’assetto variabile) che non permettono all’apneista di gestire la frequenza con cui effettuare le manovre di compensazione a causa della elevata velocità di discesa.
Lo squeeze polmonare può portare anche a gravi conseguenze: se i polmoni si riempiono di fluido, gli alveoli non saranno in grado di scambiare ossigeno con il sangue e quindi rifornire di ossigeno il nostro corpo. I livelli di saturazione di ossigeno risulteranno bassi e potrebbero rimanere molto bassi anche per lungo tempo dopo l’incidente. In casi estremi potrebbe causare anche soffocamento in superficie dopo la riemersione (come putroppo è accaduto lo scorso novembre 2013 al giovane apneista Statunitense N.Mevoli). Un metodo che probabilmente verrà usato nelle prossime competizioni per capire la presenza di un eventuale squeeze polmonare e la sua “severità” sarà un semplice pulsiossimetro (o ossimetro o saturimetro) con il quale misurare i valori subito dopo il tuffo.
Lo squeeze tracheale può manifestarsi invece con una sensazione di bruciore alla gola che l’apneista avverte subito dopo l’uscita dal tuffo e con piccole tracce di sangue nella saliva che vengono espettorate solitamente all’uscita dal tuffo. Lo squeeze tracheale potrebbe essere causato alla iperestensione della testa in discesa per guardare il piattello o il fondo: questo movimento può creare delle pressioni negative nella struttura semideformabile e molto delicata della trachea con conseguenti rotture di capillari sulla sua superficie interna. E’ possibile lavorare sulla trachea (cosi come sui polmoni) per aumentarne la flessibilità e cercare di ridurre la probabilità che questo incidente si verifichi.
Di seguito alcune precauzioni che possono aiutare a cercare di evitare incidenti a carico dell’albero respiratorio in tuffi a profondità pari o superiori alle profondità per cui si raggiunge il Volume Residuo:
- Approcciate la profondità in maniera molto graduale, soprattutto se siete apneisti che provengono da stagione invernale con allenamenti fatti prevalentemente in piscina,
- Evitate movimenti bruschi sul fondo (girate, traslazioni, etc), iperestensioni del collo e della testa (ad esempio guardare il piattello\fondo mentre si scende), allungamenti degli arti superiori ( ad esempio effettuare delle bracciate troppo ampie in risalita da tuffi in CNF- rana subacquea, oppure allungare troppo le braccia per tirarsi lungo il cavo in tuffi in FIM-Immersione Libera), etc;
- Evitate di arrivare a sentire le contrazioni diaframmatiche in profondità,
- Effettuate un buon riscaldamento con dei tuffi preparatori prima del tuffo profondo,
- Lavorate molto sulla elasticità e flessibilità della gabbia toracica a secco ed in acqua,
- Imparate ad essere rilassati sul fondo cercando di abbandaonare ogni tensione a carico della zona toracica, in particolare quando si cerca di compensare a profondità superiori al Limite reale della compensazione,
- Evitate manovre di compensazione che sono supportate da sforzi espiratori e contrazioni muscolari (come accade nella manovra di Valsalva) e cercare di imparare invece la manovra di Frenzel che è una manovra di carattere motorio-pressorio che non mette in pressione tutto l’albero respiratorio.
- Lavorare molto con esercizi di stretching polmonare e tracheale a secco ed in acqua;
- Evitate tuffi a polmoni “vuoti” e quindi tuffi in CFR o tuffi in “espirazione totale” o “full Exhale”.
Nel momento in cui si dovesse verificare un incidente con i sintomi descritti sopra, il suggerimento è di:
- Interrompere immediatamente le sessioni di tuffi ed uscire dall’acqua;
- Contattare immediatamente un medico e preferibilmente uno specialista che abbia delle competenze in medicina subacquea;
- Interropere per qualche giorno qualunque tipo di attività fisica, bere molti liquidi, rimanere fuori dall’acqua almeno per qualche giorno evitando di mettere sotto pressione i polmoni,
- Ovviamente tornate in acqua solo dopo parere medico.
Purtroppo negli ultimi anni questi incidenti si stanno verificando sempre più spesso perchè la maggior parte degli apneisti oggi cerca la profondità e la prestazione a tutti i costi, spesso senza avere una adeguata preparazione fisica e mentale e con una scarsa conoscenza dei rischi e delle problematiche legate a tuffi oltre il Volume Residuale.
Spero che questi post possano aiutare ad avere un quadro un pò più chiaro.
Marco Cosentino
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Compensazione in apnea subacquea
Limite reale della compensazione e rischi
Sempre più spesso mi capita di vedere apneisti che con molta facilità raggiungono quote importanti ma senza la necessaria preparazione fisica e mentale, senza conoscere quali siano le tecniche di compensazione più idonee da impiegare e spesso senza avere a mente quali sono i principi fisici e fisiologici che condizionano e modificano il nostro corpo durante il tuffo in apnea.
Nei nostri corsi ed allenamenti puntiamo molto alla gestione consapevole della compensazione a quote limite e supportiamo i nostri atleti con sedute specifiche di allenamento in acqua ed a secco nelle quali cerchiamo di insegnare e mettere in pratica molti dei consigli e degli accorgimenti che possono fare la differenza quando ci si immerge in profondità.
Attenzione: tutte le discipline subacquee e\o apneistiche durante le quali è previsto l’atto di trattenere il respiro devono essere svolte in presenza di un istruttore e\o di un compagno qualificato. Questo post ha scopo puramente informativo. Mai in Mare da soli.
Cosa è il limite reale della compensazione?
Il limite reale della compensazione in apnea è individuato con il raggiungimento della profondità alla quale l’apneista non è più in grado di traslare meccanicamente aria (attraverso degli sforzi espiratori che coinvolgono i muscoli accessori della respirazione) dai polmoni verso la parte alta dell’albero respiratorio e quindi verso il rino-faringe, le tube di Eustachio, per giungere poi all’orecchio medio dove la membrana timpanica viene riportata in equilibrio.
In parole povere il limite reale della compensazione in apnea è la profondità alla quale l’apneista non “ha più aria per compensare le orecchie” ovvero non riesce più a “trovare aria” nei polmoni per farla poi arrivare al timpano e quindi compensare la riduzione volumetrica che avviene all’interno dell’orecchio medio a causa dell’aumento della pressione ambiente (ricordiamo sempre la legge di Boyle che ci dice come i volumi aerei interni del nostro corpo variano al variare della pressione ambiente).
Chi ha fatto delle discese su cavo con degli allievi o con degli apnenisti che hanno difficoltà a compensare a queste quote, avrà sicuramente notato (in verità sentito-udito) dei rumori gutturali molto caratteristici di chi si sta forzando per cercare di portare aria dai polmoni verso la parte alta dell’albero respiratorio: questi sforzi espiratori, che coinvolgono i muscoli intercostali ed il diaframma, possono creare non pochi problemi alle strutture polmonari che a quelle quote sono estremamente stressate per effetto del Bloodshift (o emocompensazione) che richiama sangue verso i polmoni al fine di compensare la riduzione volumetrica degli spazi aerei polmonari.
Per capire quali sono le profondità a cui si raggiunge questo limite di compesazione in apnea , facciamo un passo indietro e parliamo di volumi polmonari. E per farlo partiamo dall’esame che ci permette di valutare e definire questi volumi.
Spirometria
La spirometria è il test più comune per valutare la funzionalità polmonare. Si tratta di uno strumento diagnostico particolarmente efficace e diffuso. La spirometria è utilizzata frequentemente nella diagnosi e nella valutazione delle funzionalità polmonari. Durante l’esame ci si avvale di un particolare strumento chiamato spirometro, in grado di valutare i diversi volumi polmonari.
I “volumi polmonari statici”, quelli di nostro interesse, sono singoli volumi che non possono essere ulteriormente divisi, e sono:
- Volume Corrente o Tidal volume (Vc) : quantità d’aria che viene mobilizzata con ciascun atto respiratorio non forzato (300-500 ml). Per sapere quanta aria arriva agli alveoli (e quindi viene scambiata) si deve calcolare il volume alveolare, che si ottiene sottraendo dal volume corrente il volume dello spazio morto anatomico. Lo spazio morto anatomico è il volume di aria intrappolata nelle vie aeree di conduzione (dalla bocca passando alla trachea per finire ai bronchioli terminali). Nello spazio morto anatomico non avviene la diffusione dell’ O2 e della CO2 fra aria e sangue, ha solo una funzione di conduzione, cioè di portare l’aria agli alveoli.
- Volume di Riserva Inspiratorio (Vri): quantità massima di aria che, dopo un’inspirazione normale, può essere ancora introdotta nei polmoni con un atto inspiratorio forzato che implica l’utilizzo dei muscoli accessori della respirazione (diaframma ed intercostali).
- Volume di Riserva Espiratorio (Vre) : quantità massima di aria che, dopo un’espirazione normale, può essere ancora espulsa con un atto espiratorio forzato che implica l’utilizzo dei muscoli accessori della respirazione (intercostali ed addominali).
- Volume Residuo (Vr): è l’aria che resta nei polmoni dopo un’espirazione forzata. Questo volume non può essere misurato direttamente e si calcola con vari metodi: pletismografia, mixing dell’elio, wash out dell’azoto.
Le capacità polmonari, che invece sono somme di volumi, sono:
- Capacità Vitale (Cv): somma del Volume Corrente, più quello di Riserva Inspiratorio e quello di Riserva Espiratorio. È la massima quantità di aria che può essere mobilizzata in un singolo atto respiratorio, partendo da una inspirazione forzata massimale e arrivando ad una espirazione forzata massimale.
- Capacità Polmonare Totale (Ctot): somma della Capacità Vitale più il Volume Residuo, è la massima quantità di aria che può essere contenuta nei polmoni.
- Capacità Funzionale Residua (CFR): somma della Riserva Espiratoria e del Volume Residuo. È la quantiità di aria che resta nel nostro apparato respiratorio dopo una espirazione cosidetta “passiva” ovvero senza contrazione e supporto dei muscoli accessori della respirazione. A questo volume il sistema respiratorio è in equilibrio.
Sulla base delle grandezze definite siamo in grado di stimare che un individuo medio di sesso maschile ha i seguenti valori indicativi:
- Volume Corrente Vc = 600 ml
- Volume di Riserva Inspiratoria = 3000 ml
- Volume di Riserva Espiratoria = 1500 ml
- Volume Residuo = 1500 ml
Che portano alla definizione di una capacità totale media Ctot = 6500 ml cioè circa 6,5 Litri.
È importante per l’apneista conoscere queste grandezze poiché i loro rapporti e le loro variazioni durante il tuffo in apnea contribuiscono a determinare la profondità alla quale si raggiungerà il limite reale della compensazione, ovvero quella profondità alla quale l’apneista non sarà più in grado di traslare aria dai polmoni verso l’orecchio medio (agendo con uno sforzo espiratorio) perché il volume polmonare avrà raggiunto un valore che per sua definizione misura “l’aria che resta nei polmoni dopo un’espirazione forzata”: questo volume è il Volume Residuo.
A quale profondità raggiungeremo un volume polmonare pari al volume residuo?
Se consideriamo un individuo medio con una capacità totale di 6,5 litri in superficie alla pressione di 1 ATM , allora la profondità alla quale questo volume si ridurrà per effetto della pressione idrostatica (1 ATM ogni 10 m di profondità) ad un volume di 1,5 litri sarà data dalla semplice applicazione della legge di Boyle per cui P1xV1=P2xV2 in cui P1= 1ATM e V1=6,5l, P2 è da calcolare e V2=1,5 l. Otteniamo quindi che P2= 4,3 ATM che corrispondono a circa 33 metri di profondità.
Quindi mediamente alla profondità di 33 Metri il volume aereo polmonare avrà raggiunto il valore pari al Volume Residuo e l’apneista non sarà più in grado, attraverso sforzi espiratori, di traslare meccanicamente aria dai polmoni verso l’orecchio medio.
Anzi, ogni manovra forzata di compensazione (sforzo espiratorio con conseguente contrazione muscolare) a queste profondità e\o qualunque tipo di movimento brusco (iperstensione delle braccia, sforzi sul fondo, etc) possono generare pressioni negative all’interno dell’albero respiratorio con conseguenti barotraumi dell’apparato respiratorio (polmoni e\o trachea).
Infatti se a queste quote la consapevolezza compensatoria e le manovre di compensazione applicate dall’apneista non sono idonee, allora la possibilità di incorrere nel cosiddetto “squeeze” (termine inglese utilizzato per descrivere questo tipo di problematica) polmonare o tracheale sono molto elevate, specialmente se si affrontano questi tuffi con sistemi di discesa (slitte per l’assetto variabile) che non permettono all’apneista di gestire al meglio la compensazione a causa della elevata velocità di discesa.
Nel prossimo post daremo una definizione di “Squeeze Polmonare”, faremo un identikit dell’ apneista che è più a rischio e daremo delle indicazioni su come cercare di evitare questo tipo di incidente.
Marco Cosentino
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