Limite reale della compensazione e rischi
Sempre più spesso mi capita di vedere apneisti che con molta facilità raggiungono quote importanti ma senza la necessaria preparazione fisica e mentale, senza conoscere quali siano le tecniche di compensazione più idonee da impiegare e spesso senza avere a mente quali sono i principi fisici e fisiologici che condizionano e modificano il nostro corpo durante il tuffo in apnea.
Nei nostri corsi ed allenamenti puntiamo molto alla gestione consapevole della compensazione a quote limite e supportiamo i nostri atleti con sedute specifiche di allenamento in acqua ed a secco nelle quali cerchiamo di insegnare e mettere in pratica molti dei consigli e degli accorgimenti che possono fare la differenza quando ci si immerge in profondità.
Attenzione: tutte le discipline subacquee e\o apneistiche durante le quali è previsto l’atto di trattenere il respiro devono essere svolte in presenza di un istruttore e\o di un compagno qualificato. Questo post ha scopo puramente informativo. Mai in Mare da soli.
Cosa è il limite reale della compensazione?
Il limite reale della compensazione in apnea è individuato con il raggiungimento della profondità alla quale l’apneista non è più in grado di traslare meccanicamente aria (attraverso degli sforzi espiratori che coinvolgono i muscoli accessori della respirazione) dai polmoni verso la parte alta dell’albero respiratorio e quindi verso il rino-faringe, le tube di Eustachio, per giungere poi all’orecchio medio dove la membrana timpanica viene riportata in equilibrio.
In parole povere il limite reale della compensazione in apnea è la profondità alla quale l’apneista non “ha più aria per compensare le orecchie” ovvero non riesce più a “trovare aria” nei polmoni per farla poi arrivare al timpano e quindi compensare la riduzione volumetrica che avviene all’interno dell’orecchio medio a causa dell’aumento della pressione ambiente (ricordiamo sempre la legge di Boyle che ci dice come i volumi aerei interni del nostro corpo variano al variare della pressione ambiente).
Chi ha fatto delle discese su cavo con degli allievi o con degli apnenisti che hanno difficoltà a compensare a queste quote, avrà sicuramente notato (in verità sentito-udito) dei rumori gutturali molto caratteristici di chi si sta forzando per cercare di portare aria dai polmoni verso la parte alta dell’albero respiratorio: questi sforzi espiratori, che coinvolgono i muscoli intercostali ed il diaframma, possono creare non pochi problemi alle strutture polmonari che a quelle quote sono estremamente stressate per effetto del Bloodshift (o emocompensazione) che richiama sangue verso i polmoni al fine di compensare la riduzione volumetrica degli spazi aerei polmonari.
Per capire quali sono le profondità a cui si raggiunge questo limite di compesazione in apnea , facciamo un passo indietro e parliamo di volumi polmonari. E per farlo partiamo dall’esame che ci permette di valutare e definire questi volumi.
Spirometria
La spirometria è il test più comune per valutare la funzionalità polmonare. Si tratta di uno strumento diagnostico particolarmente efficace e diffuso. La spirometria è utilizzata frequentemente nella diagnosi e nella valutazione delle funzionalità polmonari. Durante l’esame ci si avvale di un particolare strumento chiamato spirometro, in grado di valutare i diversi volumi polmonari.
I “volumi polmonari statici”, quelli di nostro interesse, sono singoli volumi che non possono essere ulteriormente divisi, e sono:
- Volume Corrente o Tidal volume (Vc) : quantità d’aria che viene mobilizzata con ciascun atto respiratorio non forzato (300-500 ml). Per sapere quanta aria arriva agli alveoli (e quindi viene scambiata) si deve calcolare il volume alveolare, che si ottiene sottraendo dal volume corrente il volume dello spazio morto anatomico. Lo spazio morto anatomico è il volume di aria intrappolata nelle vie aeree di conduzione (dalla bocca passando alla trachea per finire ai bronchioli terminali). Nello spazio morto anatomico non avviene la diffusione dell’ O2 e della CO2 fra aria e sangue, ha solo una funzione di conduzione, cioè di portare l’aria agli alveoli.
- Volume di Riserva Inspiratorio (Vri): quantità massima di aria che, dopo un’inspirazione normale, può essere ancora introdotta nei polmoni con un atto inspiratorio forzato che implica l’utilizzo dei muscoli accessori della respirazione (diaframma ed intercostali).
- Volume di Riserva Espiratorio (Vre) : quantità massima di aria che, dopo un’espirazione normale, può essere ancora espulsa con un atto espiratorio forzato che implica l’utilizzo dei muscoli accessori della respirazione (intercostali ed addominali).
- Volume Residuo (Vr): è l’aria che resta nei polmoni dopo un’espirazione forzata. Questo volume non può essere misurato direttamente e si calcola con vari metodi: pletismografia, mixing dell’elio, wash out dell’azoto.
Le capacità polmonari, che invece sono somme di volumi, sono:
- Capacità Vitale (Cv): somma del Volume Corrente, più quello di Riserva Inspiratorio e quello di Riserva Espiratorio. È la massima quantità di aria che può essere mobilizzata in un singolo atto respiratorio, partendo da una inspirazione forzata massimale e arrivando ad una espirazione forzata massimale.
- Capacità Polmonare Totale (Ctot): somma della Capacità Vitale più il Volume Residuo, è la massima quantità di aria che può essere contenuta nei polmoni.
- Capacità Funzionale Residua (CFR): somma della Riserva Espiratoria e del Volume Residuo. È la quantiità di aria che resta nel nostro apparato respiratorio dopo una espirazione cosidetta “passiva” ovvero senza contrazione e supporto dei muscoli accessori della respirazione. A questo volume il sistema respiratorio è in equilibrio.
Sulla base delle grandezze definite siamo in grado di stimare che un individuo medio di sesso maschile ha i seguenti valori indicativi:
- Volume Corrente Vc = 600 ml
- Volume di Riserva Inspiratoria = 3000 ml
- Volume di Riserva Espiratoria = 1500 ml
- Volume Residuo = 1500 ml
Che portano alla definizione di una capacità totale media Ctot = 6500 ml cioè circa 6,5 Litri.
È importante per l’apneista conoscere queste grandezze poiché i loro rapporti e le loro variazioni durante il tuffo in apnea contribuiscono a determinare la profondità alla quale si raggiungerà il limite reale della compensazione, ovvero quella profondità alla quale l’apneista non sarà più in grado di traslare aria dai polmoni verso l’orecchio medio (agendo con uno sforzo espiratorio) perché il volume polmonare avrà raggiunto un valore che per sua definizione misura “l’aria che resta nei polmoni dopo un’espirazione forzata”: questo volume è il Volume Residuo.
A quale profondità raggiungeremo un volume polmonare pari al volume residuo?
Se consideriamo un individuo medio con una capacità totale di 6,5 litri in superficie alla pressione di 1 ATM , allora la profondità alla quale questo volume si ridurrà per effetto della pressione idrostatica (1 ATM ogni 10 m di profondità) ad un volume di 1,5 litri sarà data dalla semplice applicazione della legge di Boyle per cui P1xV1=P2xV2 in cui P1= 1ATM e V1=6,5l, P2 è da calcolare e V2=1,5 l. Otteniamo quindi che P2= 4,3 ATM che corrispondono a circa 33 metri di profondità.
Quindi mediamente alla profondità di 33 Metri il volume aereo polmonare avrà raggiunto il valore pari al Volume Residuo e l’apneista non sarà più in grado, attraverso sforzi espiratori, di traslare meccanicamente aria dai polmoni verso l’orecchio medio.
Anzi, ogni manovra forzata di compensazione (sforzo espiratorio con conseguente contrazione muscolare) a queste profondità e\o qualunque tipo di movimento brusco (iperstensione delle braccia, sforzi sul fondo, etc) possono generare pressioni negative all’interno dell’albero respiratorio con conseguenti barotraumi dell’apparato respiratorio (polmoni e\o trachea).
Infatti se a queste quote la consapevolezza compensatoria e le manovre di compensazione applicate dall’apneista non sono idonee, allora la possibilità di incorrere nel cosiddetto “squeeze” (termine inglese utilizzato per descrivere questo tipo di problematica) polmonare o tracheale sono molto elevate, specialmente se si affrontano questi tuffi con sistemi di discesa (slitte per l’assetto variabile) che non permettono all’apneista di gestire al meglio la compensazione a causa della elevata velocità di discesa.
Nel prossimo post daremo una definizione di “Squeeze Polmonare”, faremo un identikit dell’ apneista che è più a rischio e daremo delle indicazioni su come cercare di evitare questo tipo di incidente.
Marco Cosentino
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